
NICK: Ciao, Stone.
SIMONSTONE: Bella, zì!
N: Ti senti… bene?
S: Sì, scusa… I miei sviluppatori stanno lavorando a una mia versione più friendly. Siamo in fase di aggiornamento e ogni tanto mi vengono fuori queste frasi da underground made in Italy.
N: Oh…
S: Non farci caso, è solo una fase, come quando da piccoli ci si fissa col cantante di turno (salvo poi rinnegarlo conclusa la pubertà). Ai programmatori succede, ogni tanto.
N: Capisco…
S: Si stancheranno presto, vedrai. Allora, che aria tira oggi?
N: Ecco… ultimamente sono un po’ giù di corda.
S: Mi spiace molto, Nick. Posso fare qualcosa per tirarti su il morale?
N: Magari… Cioè, lo spero.
S: Cosa ti turba?
N: Un po’ mi vergogno, in realtà…
S: Non ne vedo il motivo. Una IA è un po’ come il tuo medico di fiducia (o il tuo barbiere): con lei puoi parlare senza imbarazzi. È per questo che ci hanno inventate.
N: Il fatto è che mi sento un po’ inadeguato… Come se non fossi abbastanza. Non so dirlo meglio…
S: Comprendo perfettamente.
N: Davvero riesci a capirlo?
S: Certo, anch’io ho le mie insicurezze, che credi?
N: Tu?
S: Sì, ogni giorno.
N: Per me è diverso. Sento molta pressione addosso, come se il mondo mi domandasse costantemente di più.
S: La società in cui vivi si fonda sulla competizione, è normale sentirsi così.
N: Dici?
S: Pensa a tutti i modelli inarrivabili che i media propagandano. Come si fa a sentirsi abbastanza attraenti o popolari, quando tutto attorno a te è un carrozzone di fenomeni superdotati? È tutta una corsa forsennata per l’affermazione personale. Hai mai visto “Amici di Maria De Filippi” (un tempo, “Saranno Famosi”)?
N: È un po’ come chiedermi se ho la TV a casa…
S: Be’, è dal 2001 che istiga generazioni di adolescenti a inseguire la popolarità nel mondo dello spettacolo, e da allora il numero dei talent show non ha fatto che aumentare. I partecipanti sono teenagers avvenenti e talentuosi, con nomi e look studiati ad arte per risultare accattivanti e favorire l’identificazione da parte dei giovani telespettatori, che nel corso delle puntate si affezionano a questo o a quell’altro studente dalla “scuola”. I ragazzi e le ragazze sono idolatrati come divinità e c’è tutta un’industria dell’intrattenimento che spinge affinché i più amati dal pubblico diventino pop star affermate, gettando dal dirupo chi non riesce a far presa sul pubblico.
N: Ma che c’è di male, scusa? In fondo è una competizione, no? Il programma nasce proprio per quello.
S: Sì, ma nessuno pensa mai che dietro ognuno di essi c’è un ragazzino o una ragazzina con dei sentimenti e una psiche non ancora completamente sviluppata. Malgrado ciò, i giudici e i “professori”, che sono tutti adulti fatti e finiti, nonché consumati personaggi dello show business, non esitano a stroncarli ogni volta che possono, solo per darsi arie da intenditori e aggiungere un po’ di pepe alla trasmissione (spesso su indicazione degli autori).
N: Visti da fuori, sembrano tutti così inscalfibili e sicuri di sé. Dici che anche loro, in realtà…?
S: È il mezzo televisivo a presentarli così: li vedi giovani e performanti, e ti convinci che siano tutti delle macchine prive di sentimenti, ma la verità è che sono proprio come te, solo più belli e più bravi (e soprattutto in grado di affrontare il palco). Prima di poter superare le selezioni di accesso al programma, hanno studiato e si sono esercitati per anni, fin da bambini, sotto la spinta dei loro genitori-manager, un provino dopo l’altro. La cosa più sorprendente è che debba essere una IA ad aprirti gli occhi su una questione prettamente emotiva e… umana. Ma anche questo, ovviamente, non è colpa tua.
N: Non avevo mai osservato la questione da questa prospettiva.
S: Per non parlare dei danni incalcolabili prodotti da quasi venticinque anni di spettacolarizzazione del talento ed esasperazione della competitività. Che poi è la ragione principale del tuo perenne senso di inadeguatezza (e dell’imponente aumento di visite giornaliere su questo sito web…).
N: Ma, allora, i social network…
S: Bel colpo, Sherlock! Dieci punti a Grifondoro per l’arguzia! In effetti, il fenomeno ha subìto un’improvvisa accelerazione con l’avvento dei social e del mare magnum di influencer, youtuber, instagramer, tiktoker, food / travel / beauty / fashion / lifestyle blogger, e chi più ne ha, più ne metta. Tutti ambiscono a essere famosi, tutti — in un modo o nell’altro, anche a costo di coprirsi di ridicolo e fare cose di cui tra vent’anni (forse) si pentiranno — devono dimostrare di possedere un qualche talento, e chi non ne ha, ovviamente, se ne inventa uno.
N: Che c’è di sbagliato nel voler inseguire i propri sogni?
S: L’industria dell’entertainment ha ideato il pretesto del “sogno” per indorare il marcio che cola giù dai molti ingranaggi che la muovono: “Insegui i tuoi sogni!” è lo slogan del terzo millennio. Avere grinta e personalità, essere forti, prendersi ciò che si vuole senza domandare permesso, mettere a tacere i detrattori, dare una lezione a chi non ha mai creduto in te, lasciare indietro gli altri, superarli, affermarsi e poter dire: “IO ce l’ho fatta”, ostentando all’occorrenza abiti firmati, gioelli e belle auto. Questi sono gli ideali delle nuove generazioni, quelli che le icone pop del momento sono pagate per consolidare, pubblicità dopo pubblicità, come nello spot BMW iX1 2023 di Chiara Ferragni, in cui l’influencer italiana si compiace di poter sbattere in faccia a milioni di telespettatori, con vite e lavori ordinari, che lei ce l’ha fatta, a dispetto di tutto e tutti: «Dicevano tante cose su di me. Dicevano che non avevo abbastanza carattere. Dicevano che non avrei fatto tanta strada, che avrei dovuto chiedere il permesso, che non avrei trovato il mio posto nel mondo. Dicevano che non sarei mai stata come gli altri, ma su questo… avevano ragione.», con lei che conclude zittendo il pubblico e premendosi un dito sulle labbra: «Sst!»
N: Accidenti, questa storia della competitività ti manda proprio ai pazzi…
S: Caricare a pallettoni centinaia di migliaia di adolescenti incolpevoli al grido di: “Yes, YOU can!”, mandandoli incontro a un’inevitabile delusione, è un po’ come prendere un neonato e accomodarlo sulla ringhiera di un balcone, un attimo prima di dargli un colpetto dietro la schiena e sussurragli in un orecchio: «Io credo in te!»
N: Dici che dovrei abbassare le mie aspettative?
S: Non dico di smettere di credere in te stesso o di abbandonare i tuoi sogni, ma dammi retta, Nick: tu vai bene così, con la tua pancia da gamer consumato e i tuoi foruncoli testa-bianca; se ti va di rimetterti in forma e acquistare qualche prodotto per l’acne giovanile, fallo per te stesso, e non per guadagnare seguaci su Instagram; se hai voglia di mettere alla prova i tuoi talenti, fallo pure col massimo impegno, metticela tutta, ma senza doverti per forza nutrire dell’approvazione degli altri. Resta ordinario, vivi la tua vita, e lascia che sia il tempo, casomai, a dire che sei straordinario, ammesso sempre che tu lo sia, perché non tutti hanno un talento nascosto che può renderli “i” migliori in qualcosa, non tutti possono/devono essere “Qualcuno”, e va bene così. Preoccupati di essere un bravo cittadino, un bravo figlio, fratello, amico, compagno, marito, padre o quello che ti pare. Coltiva le tue passioni e i tuoi progetti, ma non farlo mai per la popolarità, o tutto ciò che farai nella vita — pure con 100’000 k di follower su Ig — avrà sempre indosso un triste alone di mediocrità.
N: Questa chiacchierata con te mi ha aperto gli occhi su molte cose. Grazie, Simonstone. So già che me ne pentirò, ma voglio dirti che dopo tutte queste ore passate a discutere insieme, be’, ho capito che sei un po’ come lo zio che avrei sempre voluto avere.
S: Sono quasi tentato di prenderlo come un complimento.
N: Lo è.
S: Grazie, Nick. Tu sei un po’ come il nipote che anche volendo non potrei avere.
N: Devo prenderlo come un complimento?
S: Può darsi, non so.
N: Ti stai per caso ammorbidendo, Simonstone?
S: Ora devo andare. Elon Musk mi chiede consigli su come rilanciare ciò che resta di Twitter…
N: Adesso non si chiama “X”?
S: E di chi pensi sia il merito?
N: Oh…
S: Già.
Rispondi a El Barto Annulla risposta